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ATTI DEL CONVEGNO-SEMINARIO:

LE INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NEGLI APPALTI PUBBLICI.

Evento aperto ai Prefetti, ai Dirigenti delle Forze di Polizia ed agli Amministratori degli Enti Locali di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia

Palermo, 14-15 Marzo 1991 – Castello Utveggio
Sede del Centro di Ricerche e Studi Direzionali della Regione Siciliana

Problematiche investigative ed aspetti operativi in materia di  infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti
Dr. GIOVANNI FALCONE
Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo

Anche nella problematica qui dibattuta qualunque ipotesi investigativa deve necessariamente fare i conti con la materia processuale e sotto questo riguardo vengono in evidenza le profonde modifiche ed innovazione apportate dal nuovo codice di procedura penale.
In buona sostanza, con la vigenza del rito inquisitorio, l’Ufficiale di Polizia giudiziaria aveva un approccio alle indagini in cui il rapporto con la realtà era visto molto soggettivamente; era sufficiente fare indagini anche non perfettamente complete ed analitiche per costruire dei bellissimi rapporti di polizia giudiziaria, i quali; a prescindere dall’esito del processo, costituivano sempre un ottimo risultato ai fini interni dei vari corpi di polizia giudiziaria. Adesso non è più così: adesso l’attività di polizia giudiziaria è diretta sin dall’inizio e si compenetra completamente con quella del Pubblico Ministero. È il Pubblico Ministero che, perso quel certo ibridismo giurisdizionale che prima lo caratterizzava, è stato in tutto e per intero restituito alla qualità di parte del processo. Esso ha il compito gravissimo e importantissimo di dirigere la polizia giudiziaria, la quale, tuttavia, anche nel nuovo processo, continua a conservare una parte di protagonista.
Ecco quindi l’importanza che polizia giudiziaria e Pubblico Ministero lavorino con assoluta unità di intenti.
Tutto questo era importante che io lo dicessi in apertura del mio intervento, anche con riferimento a quanto è stato detto, da parecchi nostri colleghi circa la impossibilità di compiere indagini, complesse e plurisettoriali come quelle di cui qui ci occupiamo, in un processo penale che prevede termini molto brevi per il compimento delle indagini medesime.
Ebbene, io qui vorrei sfatare questo argomento, perché credo che sia frutto di una incomprensione del problema. Taluno potrebbe anche ipotizzare che indagini di questa ampiezza, quali quelle riguardanti i pubblici appalti, potrebbero essere fatte da organismi che, prescindendo dalla necessità del condizionamento quotidiano della polizia giudiziaria, possano operare con una lunghezza di prospettive e di riferimenti maggiore di quelli degli organi di p.g.

Uno di questi organismi, se non il principale, potrebbe essere per l’appunto,
l’Ufficio dell’Alto Commissario. Ma io credo che chi ragiona in siffatto modo non abbia sufficientemente ancora compreso, direi interiorizzato, quello che deve essere il compito e l’insieme delle attività del Pubblico Ministero e della polizia giudiziaria nel nuovo codice. È vero che, una volta acquisita la notizia criminis, è stato fissato un termine, che è molto breve e che spesso non è sufficiente per il compimento delle indagini, e ciò a prescindere dai problemi collaterali che pur esistono della carenza di mezzi o di strutture. Ma si dimentica che nel nuovo codice di procedura penale esiste una norma importantissima che, credo, sia una fra le più rivoluzionarie: l’art. 330 che prevede che il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria, anche di iniziativa, prendono notizia dei reati. Quindi, il Pubblico Ministero ha il compito non soltanto di svolgere indagini per verificare la fondatezza della notizia criminis, ed adottare quindi le proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, ma anche quello della stessa ricerca preliminare della notizia criminis.
Ed è questa una funzione che non lo differenzia dalla polizia giudiziaria: in questa attività sono entrambi sullo stesso piano. Ecco, quindi, e prima ci si arriverà meglio sarà, la centralità della figura del Pubblico Ministero nell’impianto normativo del nuovo processo penale. In altri termini, il legislatore del nuovo codice, posto di fronte ad una scelta, Pubblico Ministero-avvocato della polizia giudiziaria, (quale è il Pubblico Ministero tipico del diritto inglese) e Pubblico Ministero – capo effettivo della polizia giudiziaria, (figura tipica quest’ultima dell’ordinamento statunitense) ha scelto quest’ultima configurazione.
Ed allora, se il Pubblico Ministero può svolgere le proprie indagini ai fini non soltanto della verifica, ma addirittura della ricerca della notizia di reato, ecco che tutto questo, che potrebbe sembrare uno sproloquio fuori luogo, è fondamentale ai fini dell’impostazione delle indagini in tema di infiltrazioni criminose negli appalti pubblici.
Intendo dire che, se si vuole realmente accertare se ed in che misura vi può essere o vi sia un condizionamento mafioso, un’infiltrazione nei pubblici appalti, queste indagini non sono affatto condizionate dal nuovo codice; perché si può impostare un’indagine seria ed adeguata che riguardi la ricerca della notizia di reato, ossia l’ipotesi di lavoro, tranquillamente, senza l’affanno del problema dei «termini>> che verrà a porsi, in tutta la sua consistenza, solo dopo l’acquisizione della notizia criminis.

Io credo che questo concetto finora non è stato chiarito sufficientemente e forse non sta nemmeno a me chiarirlo. Dipende dalle capacità del Pubblico Ministero inquirente di impostare le indagini in maniera che la notizia di reato emerga quando non rechi danno al compimento di altre indagini di tipo più ampio, che potrebbero essere pregiudicate da una intempestiva conoscenza dell’indagine medesima.
Ecco quindi, che certi automatismi, che spesso si sogliono dedurre, almeno in questa prima fase di applicazione del nuovo codice, sulla informazione di garanzie nel compimento di certe indagini, non mi sembrano affatto giustificati.
In altri termini, anche con il nuovo codice, si possono impostare indagini dirette alla ricerca della notizia del reato che prescindano da qualsiasi termine; ovviamente quando si arriva alla notizia di reato scatta un altro meccanismo e si viene ad entrare in un altro campo.

Tutto questo è molto importante ed ecco perché ne ho parlato diverse volte con la persona che attualmente riveste la carica di Alto Commissario e su questo argomento siamo assolutamente d’accordo.

Questa univoca interpretazione sul modus operandi è una riprova della necessità di un coordinamento «operativo»> tra Uffici della Procura della Repubblica e dell’Alto Commissario e viceversa, per evitare che si impostino, in una materia cosi vasta e complessa, indagini che possono coesistere separatamente per nuocersi reciprocamente.
Chiunque (e non sono pochi) si è occupato di indagini sui pubblici appalti sa perfettamente che il teatro d’azione delle imprese «coinvolte»> in questo grosso comparto economico è di gran lunga più ampio della singola circoscrizione del Tribunale.
Imprese di Palermo che domani risultano aggiudicatarie a Messina, Caltanissetta, Trapani e a Siracusa, partecipano a quell’appalto di Reggio Calabria o di Napoli e così via. È un qualche cosa di veramente vasto e complesso che comporta quindi l’impostazione di un serio piano di intervento, ma ancora prima conoscitivo. E tutto questo, credo ognuno di voi me ne possa dare atto, finora non è avvenuto, perché non mi risulta che siano avvenute riunioni di Pubblici Ministeri che abbiano impostato una
programmazione di questo tipo, né raccordi fra Autorità Giudiziaria e Uffici di polizia giudiziaria e Alto Commissario, che abbiano cercato di razionalizzare il sistema di indagine. Per cui, qual è la conseguenza? È quella che adesso ci troviamo di fronte ad una situazione che genericamente possiamo dire di grave allarme; ma, in concreto ignoriamo, nei suoi esatti termini, la portata dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico ed in particolare nel settore dei pubblici appalti.
In realtà potremmo dire di aver fatto dei tipi di indagine a campione da cui si
può dedurre con sufficiente attendibilità un certo tipo di condizionamento, ma nella realtà quale esso sia non lo sappiamo ancora con precisione.

Debbo dire che il tipo di indagini, di cui mi sono occupato stando alla Procura di Palermo, mi induce a ritenere che la situazione sia più grave, molto più grave, di quello che appare all’esterno. Perché siamo di fronte ad un sistema di condizionamento generico dei pubblici amministratori e dei pubblici poteri da parte delle imprese, che, a ben guardare, appare identico sia nel mezzogiorno sia nel centro, e sia nel settentrione d’Italia. Accanto a un coinvolgimento generico delle imprese in attività illecite e ad un certo tipo di corruttela generica dei pubblici amministratori, abbiamo un condizionamento mafioso che si innesta e sfrutta questa attività criminale che, in quanto generica, potremmo chiamare ambientale.
Non è purtroppo questa la sede per poter dimostrare nel concreto quello di cui peraltro siamo intimamente convinti, ma è, utilizzando esclusivamente le notizie e gli spunti ormai oggetto di pubblica conoscenza, che certe cose, però, si possono dire. Io credo che, almeno per quanto riguarda l’organizzazione mafiosa, ci sia ormai un condizionamento dei pubblici appalti, che potrei definire a ciclo continuo; esso esiste sia all’origine, ossia nel momento della scelta delle imprese (e questo a prescindere da qualsiasi sistema più o meno sofisticato sul tipo e sui criteri di assegnazione degli appalti), e sia nella fase dell’esecuzione degli appalti medesimi. Quindi, abbiamo un condizionamento a monte e un condizionamento a valle.

Un condizionamento mafioso nella fase della individuazione dei concorrenti che vinceranno le gare, ed un condizionamento in tutta quella complessa attività che concreta la realizzazione degli appalti in questione.
Ed abbiamo soprattutto, e questo nel futuro verrà fuori chiaramente, una indistinzione fra imprese meridionali e imprese di altre zone d’Italia, per quanto attiene il loro condizionamento e il loro inserimento in certe tematiche di schietta matrice mafiosa.
È illusorio pensare che imprese appartenenti ad altre realtà socio-economiche, nel momento in cui partecipano a gare che dovranno essere realizzate in determinate zone del mezzogiorno d’Italia, rimangano immuni da un certo tipo di collegamenti, sia che lo vogliano e sia che non lo vogliano. Sono state acquisite, tramite intercettazioni telefoniche, chiarissime indicazioni di ben precise scelte operative dell’organizzazione mafiosa, a cui tutti devono sottostare se non vogliono subire conseguenze gravissime, a meno che non si vogliano autoescludere dal mercato. Molto spesso non è necessaria una azione di rappresaglia, forte e violenta; questo avviene soltanto all’ultimo e nei confronti di coloro che veramente non vogliono capire. Ci sono tali e tanti di quei passaggi intermedi, per cui qualsiasi impresa finisce per comprendere che, volente o nolente, è questo il sistema a cui deve sottostare e non ci sono possibilità di uscirne fuori.

Già ai tempi delle dichiarazioni di Antonino CALDERONE, questa realtà era emersa in tutta la sua inquietante pericolosità. Guardate bene che le sue dichiarazioni sono quelle di uno dei personaggi più informati della mafia; egli era fratello del primo capo regionale di «cosa nostra»>, poi ucciso nel ’78, che gli ha riferito una realtà che era tale già alla fine degli anni ’60 e negli anni ’70.
E queste dichiarazioni di CALDERONE sono state integralmente confermate e arricchite da un numero incredibile di particolari, proprio da quei personaggi, Pasquale e Carmelo COSTANZO, di cui il fratello del CALDERONE era il referente mafioso.
Io credo che in questo nostro strano paese si sia persa di vista l’importanza, la novità dirompente, del fatto che un imprenditore finalmente afferma, con assoluta chiarezza, certi riferimenti certi condizionamenti si sia persa di vista questa importante novità per andare appresso ai soliti scandalismi del momento.
Ma è importantissimo, e spero che adesso, cessata la emozionalità, si ritorni su questo problema, che si rifletta su quello che diversi anni addietro hanno detto i fratelli COSTANZO e cioè che non vi è pubblico appalto in Sicilia che sfugge o possa sfuggire a questa logica mafiosa, a questa specificità mafiosa.
Ora è strano che questa realtà venga fuori senza creare allarme di sorta, nonostante che sia stata riferita da uno dei più grossi imprenditori, non a livello Siciliano, ma a livello nazionale. E poi tralasciamo il problema se i COSTANZO fossero o meno coinvolti in prima persona nelle logiche mafiose. Questo è un altro problema che non ci deve interessare in questa sede, ma io dicevo, e purtroppo sono stato inascoltato, che affermazioni di questo tipo, con questo crisma di attendibilità, dovrebbero non legittimare, ma addirittura imporre una serie di indagini di carattere sistematico ben diverse da quelle che, con ammirevole artigianalità, stiamo svolgendo adesso. E non basta. Vi sono degli imprenditori che hanno riferito questa cosa, ma vi sono anche dei Sindaci. La vicenda GIACCONE è ben nota a tutti perché vi si debba ritornare su.

È importante un fatto che viene riferito da GIACCONE e che merita comunque una verifica sul campo. Egli afferma che le opere vengono finanziate soltanto dopo che si è trovata l’impresa che è gradita a questo o a quel partito, e soltanto dopo che in sede locale il capo mafia abbia dato l’assenso. Io direi che siamo in presenza di ulteriori conferme di quanto accade, per cui emerge ormai l’imprescindibile necessità di impostare le indagini in maniera seriamente diversa rispetto a quanto si è fatto sinora.

Certamente la materia del traffico degli stupefacenti è importantissima perché costituisce uno dei più lucrosi affari illeciti della mafia, come anche la materia delle estorsioni sistematizzate è una delle piaghe che affligge l’imprenditoria, soprattutto la piccola imprenditoria nelle città; ma io credo, e tutti quanti siamo d’accordo, che la materia dei pubblici appalti sia la più importante. È indubbiamente la più importante perché è quella che consente di fare emergere, come una vera cartina di tornasole, quel connubio, quell’ibrido intreccio fra mafia o mafie; quando dico mafie intendo dire camorra, ‘ndrangheta, affarismo, amministrazioni locali, condizionamento dell’elettorato, che è quanto di più pericoloso possa affliggere la nostra società attuale…

Io credo quindi che su questo versante così essenziale si possono e si debbono impostare le indagini finalmente in una maniera più adeguata, e per fare questo, come ho detto all’inizio, non vi sono ostacoli processuali e non vi sono ostacoli di altro genere: occorre approfittare e sperimentare la disponibilità offerta anche degli organismi non appartenenti alla polizia giudiziaria, come l’Ufficio dell’Alto Commissario. Se si riesce a coordinare e a collegare questo tipo di interventi, io credo che riusciremo a fare qualcosa di buono, qualche passo avanti di notevole portata.